"Il tasso di disoccupazione continua a
salire e a gennaio si posiziona all’8,6 per cento, dall’8,5 per
cento di dicembre 2009. Lo comunica l’Istat, sottolineando che è il
dato peggiore da gennaio 2004, inizio delle rilevazioni." (da Repubblica.it di oggi)
Se uno legge mezzi di informazione un po’ cialtroni per quanto maggioritari, si fa l’idea che fino al 2004 l’Istituto Nazionale di Statistica non facesse indagini sulla disoccupazione. Eppure di cose ne erano successe: la Guerra, la Ricostruzione, la Crisi Petrolifera, gli Anni di Piombo, i 35 Giorni di Mirafiori, le Monetine al Raphael, e nessuno si era mai chiesto: ma in Italia si trova lavoro? Ovviamente, se l’erano chiesto. Basta cercare proprio nell’archivio di Repubblica.it, per sapere che l’Istat aveva avuto l’originale idea di contare i disoccupati ben prima del 2004 (ha iniziato negli anni ’50: l’Istat esisteva già quando la U si scriveva "V"), e che la disoccupazione negli anni ’80 era stabilmente più alta che oggi.
Ma c’è una mezza verità, in quello che scrive oggi Repubblica: nel 2004, l’Istat si è adeguato a standard internazionali e ha creato una rete di rilevazione di alto livello qualitativo per misurare occupazione e disoccupazione. I numeri però danno fastidio, se sono credibili. Dimostrando grande consapevolezza della posta in gioco (il valore sociale della conoscenza statistica), l’Istat lo scorso anno ha deciso di esternalizzare la rilevazione delle Forze di Lavoro all’IPSOS, l’istituto di Nando Pagnoncelli. Quello che, quando dava i numeri (sbagliati) alla Rai, disse "Se non mi volessero più, li capirei". Perciò, se a Repubblica hanno tanto a cuore la qualità della statistica, dovrebbero dire che le rilevazioni (quelle vere) sono iniziate nel 2004, ma sono anche finite nel 2009.