24 ore sulle ambulanze di Gaza

Questo è il resoconto di un giorno nella striscia di Gaza (dalle 18 del 4 alle 17 del 5 gennaio, oggi) fatto da una volontaria dell’International Solidarity Movement (Ism), che scorta le ambulanze della Mezzaluna Rossa. Come sempre, se la traduzione (di corsa) non è all’altezza, l’originale lo potete trovare qui. Anche Vittorio Arrigoni, che fa parte della stesso Ism e sta sulle stesse ambulanze, ha scritto un articolo per il Manifesto sulla giornata di oggi. Lo trovate qui.

18:00 All’ospedale Al Awda, gestito
dall’Union of Health Work Committees. La normale capienza, 50 posti
letto, è stata portata a 75. E e Mo intervistano Ala’a, medico del
campo profughi di Jabalia ferito, mentre Arafa è stato ucciso ieri.

La storia è la seguente:

Erano circa le 8:30 sabato mattina a
Jabalia. 5 ragazzi si sono trovati sotto il fuoco dei proiettili e
hanno cercato di scappare. Tre sono fuggiti. Uno, Tha’er, 19 anni, ha
ricevuto un colpo al piede. Il suo amico Ali, anche lui
diciannovenne, ha cercato di portarlo via e portarlo in sicurezza, ma
è stato colpito alla testa e ucciso. Ci sono voluti 75-90 minuti
prima che l’ambulanza della Mezzaluna Rossa di Jabalia potesse
raggiungerli. I dottori Arafa, 35 anni, e Ala’a, 22 anni, hanno
portato Tha’er all’ambulanza, e sono tornati indietro per prendere il
corpo di Ali. Appena hanno chiuso la portiera del veicolo, sono stati
colpiti da una granata.

Ala’a racconta “Non ho sentito nulla
– mi sono solo trovato in aria e poi sono caduto”. L’altra
ambulanza ha portato via tutti. Arafa, sposato con 5 figli, aveva una
ferita grave al torace, che aveva compromesso la maggior parte di un
polmone, ed è sopravvissuto solo 2 ore. La testa di Ali era esplosa.
Ala’a è ora in ospedale con gravi ferite da granata ovunque,
specialmente sul torace e nelle gambe. Tha’er è sopravvissuto ma ora
anche lui ha numerose lacerazioni alla schiena e al corpo per la
granata.

Arafa insegnava per le Nazioni Unite,
dove svolgeva formazione medica, e faceva volontariato come dottore
dopo aver svolto la professione in precedenza.

19:00 Riusciamo a dormire a turno
all’ospedale Al-Awda. V e io crolliamo. E, A e M salgono sulla prima
ambulanza del campo profughi che passa, fino all’ospedale Karmel
Adwan, la seconda nuova base della Mezzaluna Rossa da quando il loro
centro è stato evacuato. La base consiste in alcune coperte in un
corridoio, ma ogni tanto c’è del tè.

23:00 E torna per dormire, V e io
andiamo con l’ambulanza di O a Karmel Adwan. O ha una sciarpa avvolta
intorno al ginocchio: era stato colpito in quel punto alcuni anni fa
e quando fa freddo sente dolore. Provo a parlare con A e Mo perché
tornino a dormire, ma non riesco a convincere EJ. La notte è
tranquilla. Purtroppo, capisco rapidamente le ragioni: a) gran parte
della popolazione di Jabalia se n’è andata; b) Israele non permette
alle ambulanze di raccogliere la maggioranza dei feriti che chiamano
chiedendo aiuto.

2:00 Raccogliamo una donna al lavoro.
Tornati all’ospedale, parlo con Om, infermiera che fa volontariato al
Centro Al-Assyria gestito dall’Union of Health Work Committees, e con
M, in un letto d’ospedale. Ha 23 anni, è sposato da sei mesi, e ha
fatto l’errore di trovarsi vicino alla moschea di Jabalia bombardata
due giorni fa. È in convalescenza dopo un’operazione all’addome.

Tutti dormono nelle ambulanze. EJ e io
veniamo chiamati ogni ora dalla BBC per dare notizie “in diretta da
Gaza”.

5:00 Apprendiamo che l’ospedale Al
Wafa, che dovrebbe essere un centro per disabili, è minacciato da un
bombardamento.

7:15 Raccogliamo un uomo gravemente
ferito dall’esplosione di un razzo su una casa di Sikha St., a
Jabalia; dubito che gli resti più che qualche minuto di vita, invece
è ancora vivo quando raggiungiamo l’ospedale.

9:00 Raccogliamo una donna la cui casa
è stata appena colpita, ha un attacco di panico e non capisco che
ferite abbia. Di ritorno all’ospedale, sento urlare per due persone
appena morte. Potrebbero essere l’uomo quasi morto raccolto dalla mia
ambulanza e un altro che avevo visto arrivare, entrambi orribilmente
dilaniati dai razzi. Il colore grigio dei loro corpi sta diventando
familiare.

9:30 Apprendiamo che Beit Hanoun è
quasi completamente occupata dall’esercito israeliano, così come la
cittadina vicina di Zahra che controlla la strada nord-sud. Il nord
(noi) e il sud (F, G, e OJ a Rafah) potrebbero venir separati l’uno
dall’altro. Ci contattiamo al telefono, per fare piani di emergenza.

10:00 La sorella di Mo la chiama per
dirle che stanno sparando sul suo villaggio, Khosa; la terra
coltivata al centro è circondata dalle abitazioni. “Non c’è nulla
lì, solo le case della gente”, ci dice. Dice che ora ci sono i
carri israeliani nelle aree di Attatta e Shaimah di Beit Lahia. È un
chilometro all’interno del confine, e dista due chilometri da noi a
Jabalia. Dice che le invasioni con i carri armati prima usavano le
strade principali, ma ora secondo lui faranno come in febbraio:
avanzeranno con i bulldozer e passeranno direttamente sulle case.

Dice che i telefoni palestinesi oggi
stanno ricevendo messaggi registrati dall’esercito, che dicono: “Ai
civili innocenti: non siamo in guerra con voi, ma con Hamas. Se il
lancio dei razzi non cessa, sarete tutti in pericolo”.

11:50 Chiamata dalla zona della
spiaggia di Gaza, ma è un errore. Invece, raccogliamo una famiglia
sfollata con due bambini, seduta sul ciglio della strada e sfinita
dal peso delle valigie. Prima eravamo passati alla scuola della
missione Onu di Beit Lahia, si sta riempiendo di famiglie di
profughi. Come Naher El Bared, di nuovo.

N attira la mia attenzione su due code
molto affollate per il pane, e ci accorgiamo che un ragazzo in fila è
svenuto per la stanchezza; i medici lo curano come possono.

16:00 F chiama per dire che hanno
sentito che l’ospedale di Al Awda è stato colpito. Chiamo EJ. Dice
che l’edificio attiguo è stato colpito da due granate; una persona è
stata ferita, l’uomo che le aveva prestato la giacca ieri sera. Ha
schegge di granata alla testa e dice che non ha un bell’aspetto. A
apparentemente ha ripreso il bombardamento. Ci chiediamo se non
dovremmo tornare al campo di Jabalia piuttosto che a Gaza City. Ma
Gaza City ha perso tre dei suoi medici, ieri.

Ultime notizie:

Abbiamo ricevuto due racconti diversi
di attacchi israeliani sui funerali. Stiamo provando a verificare le
morti e le ferite di uno di loro. Il secondo funerale attaccato è
quello del dottor Arafa di ieri pomeriggio; 5 persone sono state
ferite.

Riceviamo racconti secondo cui
nell’area di Zaitoun, due giorni fa, i soldati israeliani hanno
chiuso un gruppo di persone in due case; le donne e i bambini in una,
gli uomini nell’altra, in cui sono rimasti per due giorni. Poi
stamattina alle 11 le forze israeliane hanno bombardato le case. Pare
che il numero di vittime sia tra 7 e 20. Una è un bimbo di sette
anni il cui corpo era nelle braccia del padre in un filmato
televisivo. Stiamo cercando di avere altri dettagli. Sta diventando
difficile sopportare tanta follia.

Abbiamo chiesto al responsabile della
Mezzaluna Rossa di Jabalia quante volte Israele non ha permesso loro
di rispondere alle chiamate. Si tratta di aree in cui occorre
coordinarsi con le forze occupanti attraverso la Croce Rossa per
muoversi. Risponde che non hanno avuto l’autorizzazione a rispondere
a circa l’80% delle chiamate dal nord, che comprende l’area di Beit
Lahia, Beit Hanoun e Jabalia.

Devo ripeterlo? L’80%. Viene impedito
di dare aiuto a otto persone su dieci.

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