Il premier giapponese Fukuda si è dimesso dopo un calo di popolarità nei sondaggi, scesa al 29%. Una crisi di governo dopo un sondaggio sembra un’aberrazione della politica al tempo di Bruno Vespa. A me, invece, pare un buon segno. È un’embrionale realizzazione di una rivendicazione classica dell’"anarchismo riformista" (bum!) al fine di rendere più tollerabile la democrazia borghese: la revocabilità del mandato rappresentativo. Invece di contare un giorno ogni quattro anni, gli anarchici propongono che il popolo interrompa il mandato ai singoli rappresentanti, rivotandoli quando pare a lui senza aspettare legislature, rimpasti, verifiche, sfiducie costruttive e altre liturgie. La tendenza attuale è opposta: si dice che un bravo politico deve essere impopolare. Che la plebe abbia bisogno di un padre padrone che sopporti le lagne senza
curarsene e riscuota il meritato consenso solo alla fine della
legislatura. Ma è solo disprezzo per i sudditi, incapaci per natura di capire cosa sia meglio per sé. Come se l’unico modo di conquistare consenso fosse la demagogia.
Certo, gli anarco-sondaggi vanno fatti bene, ma non è poi così difficile. Quasi
tutte le statistiche ufficiali, in tutto il mondo, sono basate su
sondaggi a campione. Se sapessi che rispondendo ad un call center potrei far cadere un governo, non bestemmierei quando il telefono squilla alle 10 di mattina e io ancora dormo, come sanno tutti tranne Luisa di Sky, Carlo di Telecom Italia e Chiara di Wind.