L’anonimato su Indymedia

Flash dalla discussione sul Indymedia 2.0. Gli ultimi tempi di Indymedia, agli occhi di molti, hanno messo in crisi il principio dell'anonimato: molte persone hanno imputato alla non-identificabilità degli utenti la proliferazione di fuffa nel newswire (la colonna di destra, il flusso di notizie inviate dagli utenti). Oggi, nella discussione sul futuro di Indymedia molte persone si sono (fortunatamente) avvicinate perché hanno percepito la possibilità di poter intervenire e migliorare il principale strumento di comunicazione autogestito che i movimento avevano a disposizione. E per molte persone, la prima modifica da apportare a Indymedia è proprio l'abolizione dell'anonimato. Credo sia una conclusione dovuta al cattivo funzionamento dello strumento, e alla scarsa conoscenza delle ragioni alla base di Indymedia 1.0, che qui vorrei difendere (come ho fatto già ). Non che voglia combattere le innovazioni: ma anche per scegliere di cambiare è bene sapere cosa c'era prima. Sono cose che molti conoscono, ma che potrebbero interessare anche chi non ha voglia di occuparsi di Indymedia 2.0.

1) Ovviamente la garanzia dell'anonimato permette di pubblicare in maniera protetta contenuti che, se tracciabili, possono diventare mettere in pericolo chi li pubblica. Chiaramente, protegge anche troll, spammer e altri agenti inquinanti (ma fino ad un certo punto: meccanismi di protezione antispam esistono pure su indy). Ma questo compromesso che non è mai stato un problema, finché il contenuto socialmente rilevante giustificava il resto.

2) Inoltre, l'anonimato corrispondeva ad una scelta "politica": indymedia nasceva per rompere i meccanismi gerarchici della comunicazione, validi sia nel mainstream che nei movimenti sociali (la mitologica "logica del portavoce"). Diminuire l'importanza della fonte vuol dire proprio basare l'autorevolezza di un contenuto non sulla fonte garantita D.O.C.G. ma sul contributo collettivo di chiunque può contraddire, commentare, dire la sua.

L'autorevolezza dell'autore crea rendite di posizione: se oggi scrivo un articolo bellissimo sull'argomento X poi ciò che è firmato da me (magari sull'argomento Y) diventa automaticamente "autorevole". E così vale per la "testata" di un giornale e per ogni altra forma di "Etichettatura di origine controllata". E vale anche per un volantino o un intervento in assemblea, cosa molto più triste perché ci riguarda più da vicino. Questo è uno dei meccanismi fondamentali con cui si costruiscono gerarchie e poteri (sociali ed economici) nella sfera comunicativa, e che erano proprio i bersagli di Indy dalla sua fondazione.

Questo non vuol dire rigettare la "credibilità" dell'informazione come un valore: come detto, indymedia ha cercato di affidare all'intelligenza collettiva la patente di credibilità di un contenuto o di un altro, invece che alla "proprietà privata" sull'informazione. Cioè: sei credibile non perché ti chiami XY ma perché lo dice la comunità che ha vissuto le stesse cose che hai vissuto tu e può dire la sua, migliorando o contraddicendo quello che hai scritto tu.

Purtroppo, questo lavoro di "intelligenza collettiva" su Indy 1.0 faticava negli ultimi tempi. Ma il progetto Indy 2.0 partiva da un'ipotesi: è possibile, adottando regole e strumenti nuovi, mantenere l'apertura dello strumento Indy e recuperare in fruibilità (più che credibilità, che la verità non esiste) dell'info. Se per rendere il sito più "leggibile" occorre abdicare a questo obiettivo politico (circa l'unico che Indy ha perseguito in questi anni), non solo si farebbe qualcosa che esiste già e che non merita tanto sforzo, ma non si saprebbe nemmeno perché chiamarlo Indymedia. Meglio volantinare per noblogs, allora, che fa già tutto ciò ed è molto gradevole e politically correct.

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