Due giorni dopo la rivolta di Roma, i commenti degni di lettura sulla stampa che conta secondo me – ma aiutatemi – finora sono pochini:
Angelo D’Orsi su Liberazione (“Violenza c’è stata in migliaia di circostanze un po’ ovunque nei secoli. E sempre questa violenza è reattiva”),
Marco Belpoliti sulla Stampa (“La rivolta accade, alla stregua di un evento artistico, di una manifestazione momentanea, di una performance”),
Giovanni Robertini sul Post (“Chi ha dato fuoco alle macchine o ha spaccato le vetrine delle banche è acceso dalla stessa rabbia, pessimismo, solitudine – in dosi più o meno forti – che hanno animato gli altri ragazzi in piazza, quelli che applaudivano ma anche quelli che dicevano hanno rovinato tutto”),
Marco Bascetta sul Manifesto (“La violenza è una relazione, non una malvagia inclinazione onanistica”),
e (già) il capo della polizia sull’Unità (“Rifiuti, Fiat, aziende che chiudono, tanti sono i focolai di tensione. Perché i rifiuti di Napoli devono diventare un problema di polizia? Semmai è di pulizia”).
Gli altri sono rimasti a Genova.
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