“The war for peace”

Non ho il tempo per tradurre articoli su Gaza, oggi, perché si ricomincia a lavorare – ho di peggio da fare, come si suol dire. Però ve ne segnalo due: quello di Amira Haas su Haaretz, contenta perché i genitori sono morti; quello di Tara dell’International Solidarity Movement dalla Cisgiordania, dove le cose vanno meglio che a Gaza ma solo un po’.

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Dagli amici mi guardi Iddio

C’è una storia che spiega più di mille analisi la colpevole impotenza dell’Onu in Medio Oriente, e la racconta l’agenzia Ma’an. L’Onu aveva passato ad Israele le coordinate GPS dei suoi siti, compresa la scuola piena di rifugiati poi bombardata dall’esercito. Volevano proteggerli, ma è impossibile non pensare che l’esercito abbia usato la stessa lista per verificare che le coordinate del bersaglio fossero proprio quelle giuste.

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Yes, we can

Zudacomics è la divisione web della DC comics: quella di Batman, mica Pizza&Fichi. Ogni mese seleziona dieci autori di dieci storie, li fa votare ai visitatori del sito e quello che vince si becca la pubblicazione della storia e un contrattino di un anno. Tra i selezionati di gennaio 2009 c’è monsieur ZeroCalcare, con la sua storia "Safe Inside". ZeroCalcare ha disegnato la metà dei manifesti delle manifestazioni a cui siete andat*, e il 99% dei manifesti dei vostri concerti punk/HC preferiti. Se cercavate un modo di ringraziarlo per tutto questo lavoro, e ritenevate volgare inviargli semplice denaro, fate così: andate sul sito www.zudacomics.com, iscrivetevi ("sign up" in alto a destra), cliccate sulla sezione "Competition" e votate "Safe Inside", se vi piace (ma anche se non vi piace).

Prendete e spammatene tutti.

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Associazioni di idee

Non so perché ma quando mi parlano di YouDem e RedTV mi vengono in mente YouPorn e PornTube.

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24 ore sulle ambulanze di Gaza

Questo è il resoconto di un giorno nella striscia di Gaza (dalle 18 del 4 alle 17 del 5 gennaio, oggi) fatto da una volontaria dell’International Solidarity Movement (Ism), che scorta le ambulanze della Mezzaluna Rossa. Come sempre, se la traduzione (di corsa) non è all’altezza, l’originale lo potete trovare qui. Anche Vittorio Arrigoni, che fa parte della stesso Ism e sta sulle stesse ambulanze, ha scritto un articolo per il Manifesto sulla giornata di oggi. Lo trovate qui.

18:00 All’ospedale Al Awda, gestito
dall’Union of Health Work Committees. La normale capienza, 50 posti
letto, è stata portata a 75. E e Mo intervistano Ala’a, medico del
campo profughi di Jabalia ferito, mentre Arafa è stato ucciso ieri.

La storia è la seguente:

Erano circa le 8:30 sabato mattina a
Jabalia. 5 ragazzi si sono trovati sotto il fuoco dei proiettili e
hanno cercato di scappare. Tre sono fuggiti. Uno, Tha’er, 19 anni, ha
ricevuto un colpo al piede. Il suo amico Ali, anche lui
diciannovenne, ha cercato di portarlo via e portarlo in sicurezza, ma
è stato colpito alla testa e ucciso. Ci sono voluti 75-90 minuti
prima che l’ambulanza della Mezzaluna Rossa di Jabalia potesse
raggiungerli. I dottori Arafa, 35 anni, e Ala’a, 22 anni, hanno
portato Tha’er all’ambulanza, e sono tornati indietro per prendere il
corpo di Ali. Appena hanno chiuso la portiera del veicolo, sono stati
colpiti da una granata.

Ala’a racconta “Non ho sentito nulla
– mi sono solo trovato in aria e poi sono caduto”. L’altra
ambulanza ha portato via tutti. Arafa, sposato con 5 figli, aveva una
ferita grave al torace, che aveva compromesso la maggior parte di un
polmone, ed è sopravvissuto solo 2 ore. La testa di Ali era esplosa.
Ala’a è ora in ospedale con gravi ferite da granata ovunque,
specialmente sul torace e nelle gambe. Tha’er è sopravvissuto ma ora
anche lui ha numerose lacerazioni alla schiena e al corpo per la
granata.

Arafa insegnava per le Nazioni Unite,
dove svolgeva formazione medica, e faceva volontariato come dottore
dopo aver svolto la professione in precedenza.

19:00 Riusciamo a dormire a turno
all’ospedale Al-Awda. V e io crolliamo. E, A e M salgono sulla prima
ambulanza del campo profughi che passa, fino all’ospedale Karmel
Adwan, la seconda nuova base della Mezzaluna Rossa da quando il loro
centro è stato evacuato. La base consiste in alcune coperte in un
corridoio, ma ogni tanto c’è del tè.

23:00 E torna per dormire, V e io
andiamo con l’ambulanza di O a Karmel Adwan. O ha una sciarpa avvolta
intorno al ginocchio: era stato colpito in quel punto alcuni anni fa
e quando fa freddo sente dolore. Provo a parlare con A e Mo perché
tornino a dormire, ma non riesco a convincere EJ. La notte è
tranquilla. Purtroppo, capisco rapidamente le ragioni: a) gran parte
della popolazione di Jabalia se n’è andata; b) Israele non permette
alle ambulanze di raccogliere la maggioranza dei feriti che chiamano
chiedendo aiuto.

2:00 Raccogliamo una donna al lavoro.
Tornati all’ospedale, parlo con Om, infermiera che fa volontariato al
Centro Al-Assyria gestito dall’Union of Health Work Committees, e con
M, in un letto d’ospedale. Ha 23 anni, è sposato da sei mesi, e ha
fatto l’errore di trovarsi vicino alla moschea di Jabalia bombardata
due giorni fa. È in convalescenza dopo un’operazione all’addome.

Tutti dormono nelle ambulanze. EJ e io
veniamo chiamati ogni ora dalla BBC per dare notizie “in diretta da
Gaza”.

5:00 Apprendiamo che l’ospedale Al
Wafa, che dovrebbe essere un centro per disabili, è minacciato da un
bombardamento.

7:15 Raccogliamo un uomo gravemente
ferito dall’esplosione di un razzo su una casa di Sikha St., a
Jabalia; dubito che gli resti più che qualche minuto di vita, invece
è ancora vivo quando raggiungiamo l’ospedale.

9:00 Raccogliamo una donna la cui casa
è stata appena colpita, ha un attacco di panico e non capisco che
ferite abbia. Di ritorno all’ospedale, sento urlare per due persone
appena morte. Potrebbero essere l’uomo quasi morto raccolto dalla mia
ambulanza e un altro che avevo visto arrivare, entrambi orribilmente
dilaniati dai razzi. Il colore grigio dei loro corpi sta diventando
familiare.

9:30 Apprendiamo che Beit Hanoun è
quasi completamente occupata dall’esercito israeliano, così come la
cittadina vicina di Zahra che controlla la strada nord-sud. Il nord
(noi) e il sud (F, G, e OJ a Rafah) potrebbero venir separati l’uno
dall’altro. Ci contattiamo al telefono, per fare piani di emergenza.

10:00 La sorella di Mo la chiama per
dirle che stanno sparando sul suo villaggio, Khosa; la terra
coltivata al centro è circondata dalle abitazioni. “Non c’è nulla
lì, solo le case della gente”, ci dice. Dice che ora ci sono i
carri israeliani nelle aree di Attatta e Shaimah di Beit Lahia. È un
chilometro all’interno del confine, e dista due chilometri da noi a
Jabalia. Dice che le invasioni con i carri armati prima usavano le
strade principali, ma ora secondo lui faranno come in febbraio:
avanzeranno con i bulldozer e passeranno direttamente sulle case.

Dice che i telefoni palestinesi oggi
stanno ricevendo messaggi registrati dall’esercito, che dicono: “Ai
civili innocenti: non siamo in guerra con voi, ma con Hamas. Se il
lancio dei razzi non cessa, sarete tutti in pericolo”.

11:50 Chiamata dalla zona della
spiaggia di Gaza, ma è un errore. Invece, raccogliamo una famiglia
sfollata con due bambini, seduta sul ciglio della strada e sfinita
dal peso delle valigie. Prima eravamo passati alla scuola della
missione Onu di Beit Lahia, si sta riempiendo di famiglie di
profughi. Come Naher El Bared, di nuovo.

N attira la mia attenzione su due code
molto affollate per il pane, e ci accorgiamo che un ragazzo in fila è
svenuto per la stanchezza; i medici lo curano come possono.

16:00 F chiama per dire che hanno
sentito che l’ospedale di Al Awda è stato colpito. Chiamo EJ. Dice
che l’edificio attiguo è stato colpito da due granate; una persona è
stata ferita, l’uomo che le aveva prestato la giacca ieri sera. Ha
schegge di granata alla testa e dice che non ha un bell’aspetto. A
apparentemente ha ripreso il bombardamento. Ci chiediamo se non
dovremmo tornare al campo di Jabalia piuttosto che a Gaza City. Ma
Gaza City ha perso tre dei suoi medici, ieri.

Ultime notizie:

Abbiamo ricevuto due racconti diversi
di attacchi israeliani sui funerali. Stiamo provando a verificare le
morti e le ferite di uno di loro. Il secondo funerale attaccato è
quello del dottor Arafa di ieri pomeriggio; 5 persone sono state
ferite.

Riceviamo racconti secondo cui
nell’area di Zaitoun, due giorni fa, i soldati israeliani hanno
chiuso un gruppo di persone in due case; le donne e i bambini in una,
gli uomini nell’altra, in cui sono rimasti per due giorni. Poi
stamattina alle 11 le forze israeliane hanno bombardato le case. Pare
che il numero di vittime sia tra 7 e 20. Una è un bimbo di sette
anni il cui corpo era nelle braccia del padre in un filmato
televisivo. Stiamo cercando di avere altri dettagli. Sta diventando
difficile sopportare tanta follia.

Abbiamo chiesto al responsabile della
Mezzaluna Rossa di Jabalia quante volte Israele non ha permesso loro
di rispondere alle chiamate. Si tratta di aree in cui occorre
coordinarsi con le forze occupanti attraverso la Croce Rossa per
muoversi. Risponde che non hanno avuto l’autorizzazione a rispondere
a circa l’80% delle chiamate dal nord, che comprende l’area di Beit
Lahia, Beit Hanoun e Jabalia.

Devo ripeterlo? L’80%. Viene impedito
di dare aiuto a otto persone su dieci.

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Test attitudinale per giornalisti scientifici

Immaginate di essere un giornalista scientifico di un giornale importante, di trovarvi ad una fiera dell’elettronica in cui viene presentata l’elettricità senza fili, di chiedere lumi all’inventore sul rischio di inquinamento elettromagnetico e di ricevere la seguente risposta: "L’azienda ha
spiegato che la tecnologia è assolutamente innocua, in quanto il laser
provvede solamente a spostare il calore da un luogo ad un altro."

Voi non ribattereste: "Ma è quello che fa anche un lanciafiamme"?

Oppure, non rispondereste: "ma questa nuovissima invenzione io l’ho già vista alla Sapienza occupata, dove 300 crimin… ops, studenti spiegavano a mamme e bambini che questa tecnologia esiste da oltre un secolo"?

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Una famiglia di Gaza ferita rimane senza soccorsi per 20 ore [di Amira Haas]

Amira Haas è una giornalista israeliana che da molti anni vive in Palestina, prima a Gaza e ora a Ramallah. Scrive per il quotidiano israeliano Haaretz, da cui traduco questo articolo di oggi. Siccome la traduzione è affrettata e dilettantesca, se sapete l’inglese vi conviene leggere l’articolo originale qui, e se vedete grossi errori segnalateli tra i commenti

Tre ore dopo l’inizio delle operazioni
di terra da parte dell’Israel Defense Force (IDF) nella striscia di
Gaza, verso le 22.30 di sabato notte un proiettile o un missile aveva
colpito la casa di Hussein al A’aiedy e dei suoi fratelli. Nella casa isolata, situata in una zona rurale a est
del sobborgo di Zeitoun di Gaza City, vivono ventuno persone. Cinque di loro erano state
ferite nell’attacco: due donne ottantenni (sua madre e sua zia), il
figlio quattordicenne, la nipote tredicenne e il nipote di dieci anni
di età.

Venti ore dopo, i feriti giacevano
ancora sanguinanti in un capanno nel cortile della casa. Non c’era
elettricità né riscaldamento né acqua. I familiari erano con loro,
ma ogni volta che tentavano di allontanarsi dal cortile per cercare
acqua, l’esercito gli sparava contro.

Al A’aiedy ha tentato di chiedere aiuto
con il telefono cellulare, ma la rete telefonica di Gaza è ormai
fuori uso. I proiettili hanno colpito i trasmettitori, non è
corrente elettrica né gasolio per i gruppi elettrogeni. Quando il
telefono funziona, è un piccolo miracolo.

Verso il mezzogiorno di domenica, Al
A’aiedy finalmente è riuscito a raggiungere S., che ha chiamato me.
Non c’era altro che potesse fare S., che abita lì vicino.

Conosco Al A’aiedy da otto anni, e ho
telefonato a Physicians for Human Rights (PHR). Loro hanno chiamato
l’ufficio di collegamento dell’IDF per chiedere di organizzare
l’evacuazione dei feriti. Era poco dopo mezzogiorno, e al momento in
cui scrivo, l’ufficio di collegamento non ha ancora richiamato PHR.

Nel frattempo, qualcun altro era
riuscito a raggiungere la Mezzaluna Rossa, che ha telefonato alla
Croce Rossa per chiederle di coordinare l’evacuazione dei feriti con
l’IDF. Erano le 10.30 – al momento in cui scrivo, domenica notte,
la Croce Rossa non vi è ancora riuscita.

Mentre ero al telefono con PHR, verso
mezzogiorno, mi ha chiamato H.. Voleva solo aggiornarmi: due bambini,
Ahmed Saboh e Mohammed al-Ashharawi di dieci e undici anni erano
andati sul tetto della loro casa di Gaza City per scaldare l’acqua
sul fuoco. Senza elettricità e gas, il fuoco è tutto ciò che
rimane a disposizione.

I carri armati sputano proiettili,
dagli elicotteri piove fuoco, gli aerei provocano terremoti. Ma è
ancora difficile per la gente capire che riscaldare l’acqua è
diventato pericoloso quanto unirsi all’ala militare di Hamas.

Un missile dell’IDF ha colpito i due
ragazzi, uccidendo Ahmed e ferendo gravemente Mohammed. Più tardi,
domenica, un sito di informazione su internet ha riportato che
entrambi erano morti. Ma il cellulare di H. non rispondeva, quindi
non ho potuto verificare la notizia.

Ed era inutile provare a chiamare il telefono di casa di H.: sabato una bomba ha distrutto l’intero
sistema telefonico del quartiere. Il bersaglio era una tipografia (un
altro obiettivo “militare” dell’IDF). Il suo proprietario, un
ex-dipendente della missione ONU in Palestina, aveva investito tutta
la sua pensione nell’attività.

Nel quartiere di B., le bombe hanno
colpito le condutture d’acqua, perciò lei è senza acqua da ieri
mattina. “Sono abituata a fare a meno dell’elettricità” dice.
“Anche senza la televisione, le telefonate degli amici mi informano
su ciò che accade. Un amico ha chiamato dal Libano, un altro da
Haifa. E anche da Ramallah. Ma senz’acqua, come tireremo avanti?”

A. ha fornito la sua testimonianza:
“tengo i bambini lontani dalle finestre perché gli F-16 sono in
volo; ho vietato loro di giocare perché è pericoloso. Ci stanno
bombardando dal mare e da est, ci bombardano dal cielo. Quando il
telefono funziona, la gente ci chiama per dirci di familiari e amici
uccisi. Mia moglie piange continuamente. Di notte abbraccia i bambini
e piange. Fa freddo e le finestre sono aperte; c’è fuoco e fumo
nelle zone scoperte; a casa non c’è acqua né elettricità né gas
per riscaldarsi. E voi [gli israeliani] dite che non c’è una crisi
umanitaria a Gaza. Dimmi, è normale?”

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Diario dell’invasione

Vittorio Arrigoni, da ilmanifesto.it:

Mentre scrivo i carri armati israeliani sono entrati nella «Striscia».
La giornata è iniziata allo stesso modo in cui è finita quella che l’ha
preceduta, con la terra che continua a tremare sotto i nostri piedi, il
cielo e il mare, senza sosta alcuna, a tremare sulle nostre teste, sui
destini di un milione e mezzo di persone che sono passate dalla
tragedia di un assedio, alla catastrofe di bombardamenti che fanno dei
civili il loro bersaglio predestinato. Il posto è avvolto dalle fiamme,
cannonate dal mare e bombe dal cielo per tutta la mattina. Le stesse
imbarcazioni di pescatori che scortavamo fino a quale giorno fa in alto
mare, ben oltre le sei miglia imposte da Israele come assedio illegale
criminoso, le vedo ora ridotte a tizzoni ardenti. Se i pompieri
tentassero di domare l’incendio, finirebbero bersagliati dalle
mitragliatrici degli F16, è già successo ieri. Dopo questa massiccia
offensiva, finito il conteggio dei morti, se mai sarà possibile, si
dovrà ricostruire una città sopra un deserto di macerie. Livni dichiara
al mondo che non esiste un’emergenza umanitaria a Gaza: evidentemente
il negazionismo non va di moda solo dalle parti di Ahmadinejad. I
palestinesi su una cosa sono d’accordo con la Livni, ex serial killer
al soldo del Mossad, (come mi dice Joseph, autista di ambulanze): più
beni alimentari stanno davvero filtrando all’interno della striscia,
semplicemente perché a dicembre non è passato pressoché nulla, oltre la
cortina di filo spinato teso da Israele. Ma che senso realmente ha
servire pane appena sfornato all’interno di un cimitero?

L’emergenza è
fermare subito le bombe, prima ancora dei rifornimenti di viveri. I
cadaveri non mangiano, vanno solo a concimare la terra, che qui a Gaza
non è mai stata così fertile di decomposizione. I corpi smembrati dei
bimbi negli obitori invece dovrebbero nutrire i sensi di colpa, negli
indifferenti, verso chi avrebbe potuto fare qualche cosa. Le immagini
di un Obama sorridente che gioca a golf sono passate su tutte le
televisioni satellitari arabe, ma da queste parti nessuno si illude che
basti il pigmento della pelle a marcare radicalmente la politica estera
statunitense.
Ieri (venerdì,
ndr) Israele ha aperto il valico di Herez per
far evacuare tutti gli stranieri presenti a Gaza. Noi, internazionali
della Ism, siamo gli unici a essere rimasti. Abbiamo risposto oggi
(ieri,
ndr) tramite una conferenza stampa al governo
israeliano, illustrando le motivazioni che ci costringono a non
muoverci da dove ci troviamo. Ci ripugna che i valichi vengano aperti
per evacuare cittadini stranieri, gli unici possibili testimoni di
questo massacro, e non si aprano in direzione inversa per far entrare i
molti dottori e infermieri stranieri che sono pronti a venire a portare
assistenza ai loro eroici colleghi palestinesi. Non ce ne andiamo
perché riteniamo essenziale la nostra presenza come testimoni oculari
dei crimini contro l’inerme popolazione civile ora per ora, minuto per
minuto. Siamo a 445 morti, più di 2.300 feriti, decine i dispersi.
Settantatré, al momento in cui scrivo, i minori maciullati da bombe. Al
momento Israele conta tre vittime in tutto. Non siamo fuggiti come ci
hanno consigliato i nostri consolati perché siamo ben consci che il
nostro apporto sulle ambulanze come scudi umani nel dare prima
assistenza ai soccorsi potrebbe rivelarsi determinante per salvare
vite. Anche ieri un’ambulanza è stata colpita a Gaza City, il giorno
prima due dottori del campo profughi di Jabalia erano morti colpiti in
pieno da un missile sparato da un Apache. Personalmente, non mi muovo
da qui perché sono gli amici ad avermi pregato di non abbandonarli. Gli
amici ancora vivi, ma anche quelli morti, che come fantasmi popolano le
mie notti insonni. I loro volti diafani ancora mi sorridono.
Ore 19.33, ospedale della Mezza Luna Rossa, Jabalia. Mentre ero in
collegamento telefonico con la folla in protesta in piazza a Milano,
due bombe sono cadute dinanzi all’ospedale. I vetri della facciata sono
andati in pezzi, le ambulanze per puro caso non sono rimaste
danneggiate. I bombardamenti si sono fatti ancora più intensi e
massicci nelle ultime ore, la moschea di Ibrahim Maqadme, qui vicino, è
appena crollata sotto le bombe: è la decima in una settimana. Undici
vittime per ora, una cinquantina i feriti. Un’anziana palestinese
incontrata per strada questo pomeriggio mi ha chiesto se Israele pensa
di essere nel medioevo, e non nel 2009, per continuare a colpire con
precisione le moschee come se fosse concentrato in una personale guerra
santa contro i luoghi sacri dell’islam a Gaza.
Ancora un’altra pioggia di bombe a Jabalia, e alla fine sono entrati. I
cingoli di carri armati che da giorni stazionavano al confine, come
mezzi meccanici a digiuno affamati di corpi umani, stanno trovando la
loro tragica soddisfazione. Sono entrati in un’area a nord-ovest di
Gaza e stanno spianando case metro per metro.

Seppelliscono il passato
e il futuro, famiglie intere, una popolazione che scacciata dalle
proprie legittime terre non aveva trovato altro rifugio che una baracca
n un campo profughi.
Siamo corsi qui a Jabaila dopo la terribile minaccia israeliana piovuta
dal cielo venerdì sera. Centinaia e centinaia di volantini lanciati
dagli aerei intimavano l’evacuazione generale del campo profughi.
Minaccia che si sta dimostrando purtroppo reale. Alcuni, i più
fortunati, sono scappati all’istante, portandosi via i pochi beni di
valore, un televisore, un lettore dvd, i pochi ricordi della vita che
era in una Palestina perduta una sessantina di anni fa. La maggioranza
non ha trovato alcun posto dove fuggire. Affronteranno quei cingoli
affamati delle loro vite con l‘unica arma che hanno a disposizione, la
dignità di saper morire a testa alta.
Io e i miei compagni siamo coscienti degli enormi rischi a cui andiamo
incontro, questa notte più delle altre; ma siamo certo più a nostro
agio qui nel centro dell’inferno di Gaza, che agiati in paradisi
metropolitani europei o americani, che festeggiando il nuovo anno non
hanno capito quanto in realtà siano causa e complicità di tutte queste
morti di civili innocenti.

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Rivalutare Branko

Sul Sole-24Ore di ieri leggevo una cosiddetta "analisi tecnica" dell’andamento borsistico. Mezza pagina che faceva previsioni sul prossimo anno finanziario basandosi sul fatto che ci troviamo nella seconda fase di un tipico andamento a "doppio massimo": nel 2000 e nel 2007 la borsa ha raggiunto dei picchi e ora siamo sulla seconda discesa della "M". Come si capisce subito, è poco più che un oroscopo. Non esiste alcuna ragione reale per cui la borsa debba compiere figure prestabilite come le pattinatrici sul ghiaccio. Gli andamenti azionari sono determinate da domanda e la loro offerta basate su informazioni più o meno attendibili e/o pubbliche. Eppure, i giornali e i siti finanziari sono pieni di queste "analisi tecniche", in cui degli "specialisti" leggono nei disegni compiuti dagli indici di borsa come Maurizio Mosca nel pendolino. Per cercarvi un esempio, cerco al volo su Google e trovo subito analisi tecniche come questa (è davvero una a caso, comprate il Sole di oggi e ne troverete 4 o 5):

L’angolo di resistenza di 8.06 euro ed il massimo relativo di 8 euro
segnato a fine aprile incombono sul grafico e dovrebbero rappresentare
in linea teorica un ostacolo per il titolo. Il mancato mantenimento
dell’angolo di tendenza crescente che passerà a quota 7.72 euro questa
settimana rappresenterà la conferma di un possibile indebolimento.
Supporto a 7.25 euro.

"Supporto a 7.25 euro"? Significa: se l’azione scende fino a 7.25 euro vedrai che rimbalza e torna su. Quindi, quando arriva a 7.25 compra che poi rivenderai a prezzo maggiorato. Ma se gli diamo retta, e a 7.25 compriamo tutti la stessa azione, è ovvio che l’azione salga (ma poi non riusciranno tutti a comprarsela a 7.25, e qui sta il pacco…). Dunque, le analisi tecniche, fuffa purissima, si auto-avverano in quanto giudicate autorevoli. E auto-avverandosi, rendono ancor più autorevole l’esperto, e così via. Non è che i maghi, così facendo, riescano a evitare crisi e crolli, come quelli senza precedenti di quest’anno. Ma tanto agli analisti tecnici si chiedono previsioni a breve termine: per le analisi macroeconomiche ci sono gli economisti e le crisi sono colpa loro. Però sono gli articoli sui giornali a convincere i pensionati e i lavoratori a scommettersi la casa e la pensione in Borsa, mica gli economisti, quindi se le crisi coinvolgono così tanti soldi e così tante persone, e si trasformano in crack mondiali, la colpa è loro.

Non stupisce che la finanza sembri così fuori controllo. Le regole servono a poco: l’"insider trading", per esempio, è punito per legge, eppure è un’operazione meno criminale di quella appena raccontata. Chi fa "insider trading" sfrutta informazioni privilegiate per giocare in borsa: un dipendente di Lehman Brothers, per esempio, che si vende le azioni un minuto prima che il mondo sappia che la sua banca sta fallendo. Probabilmente è un bastardo, ma se non altro guadagna soldi in cambio di un’informazione reale. Gli analisti tecnici, invece, l’informazione se la inventano ("il supporto") e poi fanno in modo che sembri vera, e fanno guadagnare soldi veri, e sempre più spesso i nostri. Se vi capiterà di parlare con un promotore finanziario – e vi capiterà, visto che la pensione lo stato non ce la darà più – chiedetegli se anche lui crede ai "supporti".

Buon 2009.

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Rivalutare Diliberto

Repubblica.it scrive in homepage: "Sarkozy, beffa dei comunisti francesi. Mina copre il discorso di fine anno". E uno si aspetta, chessò, almeno un hacking del sito del presidente, magari un’interferenza televisiva, comunque qualcosa del genere. Poi invece scopre che semplicemente il Partito Comunista Francese ha diffuso sul sito un video in cui al discorso di Sarkozy dell’anno passato viene sovrapposta una canzone di Mina, con un comunista che balla in un angolo dello schermo. Una cosa che sa fare anche un bambino, e non la fa perché è imbarazzante, non fa ridere né spiazza nessuno. Infatti, su liberation.fr e su lemonde.fr non ve n’è traccia. Il fatto che il video l’abbia fatto il Pcf e che repubblica.it lo chiami "beffa" la dice lunga sul livello di entrambi.

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